Immaginiamo di essere in un territorio in gran parte coltivato in cui l’economia sia fortemente improntata sul settore primario. Ed immaginiamo di voler portare sino in casa la genuinità dei prodotti del raccolto. Quale soluzione più corretta se non quella di vendere prodotti a peso non confezionati?
Sull’onda di questi ragionamenti ha aperto nel cantone svizzero di Friburgo, riscuotendo un notevole successo, un piccolo supermercato di prodotti senza imballaggio, ovvero prodotti la cui quantità di acquisto è stabilita direttamente dal cliente.
Non è insolito trovare anche in Italia negozi e reparti di questo tipo all’interno di grandi ipermercati. Il principio su cui si basano è sicuramente il “km 0”, ossia la possibilità di vendere un prodotto che è stato coltivato nella stessa regione o addirittura nella stessa città.
Un commercio del genere, portato a livelli esponenziali, potrebbe ridurre drasticamente la quantità di rifiuti. Acquistare a peso, infatti, vuol dire anche acquistare il necessario evitando gli sprechi. Il commercio fai da te riduce inoltre il numero di prodotti inviati a riciclo. Se è vero che nel negozio non ci sono confezioni, sacchetti, buste ed imballaggi, è pur vero che per portar via i prodotti, i clienti non entrano mai a mani vuote, ma già muniti di bottiglie di plastica o vetro, barattoli e sacchetti: tutti sistemi di packaging riutilizzabili ad ogni spesa.
Non solo prodotti alimentari come farine, polenta, uova, frutta, legumi, pasta, caffè, dolciumi, olii e vini ma questo tipo di commercio si estende anche ai saponi liquidi, pannolini, detersivi, crocchette per animali e cosmetici.
Alcune botteghe italiane di questo tipo, per supportare la filosofia green, offrono anche un servizio di consegna a domicilio in bicicletta, sicuramente più sostenibile rispetto al tradizionale trasporto con furgoni.
Tuttavia, sebbene si stimi che l’assenza della confezione consente di risparmiare in un anno mediamente 4 milioni di confezioni, evitando la produzione di oltre 170 tonnellate di materiali da imballaggio (plastica, carta e alluminio), e sebbene anche Policart Industria sia sostenitrice di una politica di invio al riciclo, è lecito domandarsi come avvenga il trasporto per il rifornimento di grandi quantità di prodotti alle piccole botteghe.
Vendere un prodotto alimentare “sfuso” vuol dire affidarlo al consumatore senza etichette che ne indichino la scadenza, la composizione e la provenienza. In un’ottica di commercio a km0 la freschezza del prodotto è spesso visibile ad occhio nudo. Ma quando i prodotti sono importati? Cosa e chi ne assicura un buon mantenimento se essi non sono imballati, sigillati e accompagnati da un marchio certificato?
Concludiamo dunque augurandoci che possa questa realtà essere sempre viva per piccole città e borghi in cui il contadino stesso possa portare i suoi prodotti nei punti vendita, ma che per le più ampie distribuzioni ci si orienti a sistemi di packaging riutilizzabili piuttosto che al non-packaging.
Fonte: http://www.lifegate.it/persone/stile-di-vita/supermercati-senza-imballaggi-italia